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DonaRoma, la Porta magica di Piazza Vittorio
C’è una porta a Roma che non conduce da nessuna parte. Una soglia cieca che si affaccia sui giardini un po’ desolati di Piazza Vittorio. È conosciuta col nome di Porta magica ma è chiamata anche Porta ermetica, Porta alchemica o Porta dei cieli, perchè il messaggio che custodisce può portare a conoscenze che trascendano il sapere convenzionale. Su di essa è, infatti, incisa una formula esoterica che in molti nei secoli hanno tentato senza successo di decifrare.
La storia e la leggenda concentrati nei blocchi di pietra che la compongono sono ciò che resta di una Roma misteriosa ed esoterica ma anche testimonianza di una città dall’animo pacato -a tratti campestre- che non esiste più, fagocitata dalla selvaggia urbanizzazione degli anni in cui divenne capitale del regno d’Italia.
Tutto ebbe inizio nel 1656, in una delle numerose ville sull’Esquilino, oggi scomparse: Villa Palombara…
Un alchimista a Villa Palombara
In una tiepida notte primaverile già piena degli effluvi e dei languori dell’estate, una figura incappucciata uscì circospetta da un ingresso secondario di Villa Palombara. Negli ambienti che aveva appena abbandonato, giacevano delle carte ancora fresche d’inchiostro. Sul tavolo, accanto ai fogli, vi era un grande lingotto di metallo giallo. Era oro purissimo e quelle carte contenevano la formula per riprodurlo.
La mattina dopo, il proprietario della villa si alzò di buon’ora per far visita al suo ospite. Non c’era nessuno nella stanza ma i suoi occhi furono subito attratti dal prezioso blocco che l’ospite aveva lasciato in dono, e -dono ancora più prezioso- dagli appunti che aveva vergato.
Con uno spasmo si lanciò su quelle carte, con voracità febbrile le sfogliò, poi, come se fosse istantaneamente fiaccato dopo una crisi parossistica, alzò gli occhi inebetito e le lasciò cadere. I segni che l’ospite aveva trascritto erano incomprensibili.
La misteriosa figura che fuggì dalla villa era il famoso medico e alchimista Francesco Giuseppe Borri che faceva parte di quella cerchia di luminari che frequentava il prestigioso salotto di Cristina di Svezia. Fu all’interno di quel circolo elitario che Borri conobbe il marchese di Pietraforte, Massimiliano Savelli Palombara, proprietario dell’omonima villa.
I guai con l’Inquisizione
Accadde dunque che Francesco Borri si trovasse nei guai con la Santa Inquisizione, non per le sue pratiche alchemiche, che tanto erano in voga anche fra il clero stesso, ma per le sue idee religiose. Come egli stesso dichiarava, a seguito di visioni mistiche aveva deciso di fondare una piccola comunità religiosa che si proponeva di riportare la chiesa alla purezza e alla semplicità dei primi secoli. Nulla di nuovo, se non fosse per i mezzi che intendeva utilizzare per perseguire il suo scopo. Coloro che avessero proseguito nel servire la chiesa corrotta dovevano infatti essere eliminati con la spada.
Poco dopo scattò quindi la condanna per eresia. Sentendosi ormai braccato, Francesco Borri si presentò dall’amico, chiedendogli ospitalità per una notte, in cambio del segreto dei suoi studi alchemici. Ciò che accadde quella notte a Villa Palombara lo sappiamo.
Francesco lasciò Roma per sfuggire al cappio dell’Inquisizione e fece ritorno a Milano, sua città natale. Da lì girò in lungo e in largo l’Europa. Fu infine arrestato nel 1670 in Ungheria, mentre era in viaggio per Costantinopoli. Finirà i suoi giorni nella prigione di Castel Sant’Angelo, anche se vi uscirà frequentemente, grazie alla fama di gran medico che si era procurato negli anni di latitanza nelle corti europee.
La Porta magica
Nel frattempo il Marchese Palombara si scervellò nel cercare di risolvere l’enigma lasciatogli in dono dall’amico. La formula per arrivare alla realizzazione della Grande Opera divenne per lui un’ ossessione, tant’è che fece tappezzare le pareti del suo laboratorio e i muri esterni della residenza coi simboli e con le frasi arcane contenute in quei fogli. Piegato ormai dall’età, il marchese dispose infine che quei segni fossero incisi sugli stipiti della porta esterna del suo laboratorio, la stessa porta da cui tanti anni prima era scappato Francesco Borri. Lasciò, così, ai posteri l’onere del rompicapo e il privilegio di arrivare alla soluzione.
Quando nel 1873 cominciarono i lavori di demolizione e di sbancamento dell’intera area collinare per far posto al moderno, efficiente e piemontese quartiere Esquilino, la Porta magica fu l’unico elemento di Villa Palombara a essere salvato, in virtù della curiosità che ancora generava fra la gente. Nel 1888 le venne data una nuova collocazione alle spalle degli imponenti Trofei di Mario, nell’area settentrionale dei giardini di Piazza Vittorio.
I blocchi furono inseriti su un vecchio muro di tufo e la soglia venne murata. Affianco le furono poste due statue raffiguranti il Dio Bes, divinità importata dall’Egitto. Le statue provenivano dalla zona del Quirinale dove probabilmente in epoca romana sorgeva un Serapeum, ma si addicevano così bene all’aura di mistero e di inviolabilità della porta che fu deciso di collocarle lì, alla stregua di impassibili e muti guardiani del suo segreto.
Simboli esoterici e frasi criptiche
La Porta magica è come un grande foglio di appunti. Tutti e quattro i blocchi che la compongono sono infatti disseminati di simboli e iscrizioni arcane.
L’architrave è sormontata da un medaglione, al cui interno campeggia la stella di David anteposta da una croce. Lo stesso simbolo compare sul frontespizio di un trattato dell’alchimista tedesco Hinricus Madathanus, dove l’autore espone in chiave simbolica la sua filosofia alchemica.
Sull’architrave e sugli stipiti sono incisi i simboli dei pianeti Saturno, Giove, Marte, Mercurio e Venere, a ognuno dei quali corrisponde un metallo: piombo, stagno, ferro, mercurio e rame. Da ultimo, non poteva mancare il Sole, simbolo dell’oro. Ma si pensa che dietro a questo primo ed elementare livello di lettura di questi simboli si celino in realtà complesse operazioni alchemiche
Ognuno dei simboli è accompagnato da frasi in latino ed ebraico, anch’esse chiaramente dal doppio significato interpretativo. A ogni frase dovrebbe corrispondere una singola fase del processo che porta alla realizzazione della Grande Opera, ovvero della pietra filosofale. Questa non solo permetterebbe di trasmutare i metalli vili in oro ma donerebbe anche l’onniscienza e l’immortalità.
Tra le innumerevoli frasi, spicca per la sua ingegnosità una incisa alla base della soglia.
SI SEDES NON IS : se ti siedi non avanzi
che può essere letta anche al contrario…
SI NON SEDES IS : se non ti siedi avanzi
Un chiaro invito a perseguire nella ricerca e nello studio anche se le difficoltà sembrano opprimerci.