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DonaBomarzo, la fiaba grottesca del parco dei mostri
Varcata la soglia del Parco dei mostri di Bomarzo non si torna più indietro. Il bosco sacro ci attira con le sue sinistre meraviglie, portandoci il richiamo delle misteriose creature plasmate nella pietra.
“Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte e stupende, venite qua, dove son faccie horrende elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi”
Diamo ascolto all’invito e addentriamoci nel folto del bosco, lasciandoci rapire dalle sue ammalianti suggestioni.
Il principe dei mostri
Tra i giganti di pietra di Bomarzo (Viterbo) aleggia ancora lo spirito del suo eccentrico creatore, il principe Pierfrancesco “Vicino” Orsini. La storia lo ricorda come un valoroso condottiero appassionato di filosofia e letteratura, diventato signore di Bomarzo nel 1542. Dieci anni dopo, nel 1552, egli decide di plasmare il bosco in qualcosa di unico e mirabile. Il principe affida le sue visioni nelle abili mani dell’architetto Pirro Ligorio (allievo di Michelangelo) e dello scultore Simone Moschino. Pian piano i massi di peperino prendono le sembianze di mostri, figure mitologiche e grottesche creature. La pietra si desta come per magia e dal caos primordiale nasce la forma, dalla materia inerte sboccia la vita.
Vicino, insofferente alla vita politica, può finalmente ritirarsi nel suo giardino incantato. Alla sua morte nel 1585, il parco viene abbandonato e insieme a erbe e sterpaglie crescono anche dicerie e leggende. Da taluni il principe è additato come pazzo, deforme o addirittura assassino; altri lo dipingono come pupillo di una fata che lo ricoprì di doni preziosi, eccetto quello di riconoscere la bellezza. Circondato da una spessa aura di mistero, il parco sprofonda per lunghi secoli nell’oblio, finché artisti e intellettuali lo riscoprono agli albori del Novecento riportando in auge la sua fama. La dedizione dei coniugi Giancarlo e Tina Severi Bettini riporta il giardino all’antico, arcano splendore, restituendolo al pubblico nel 1954.
Un giardino alchemico
Il parco di Bomarzo è un giardino iniziatico dove gli occhi si sgranano e la mente si arrovella in cerca di spiegazioni. Ci si ritrova immersi in un caleidoscopio di forme e suggestioni, risucchiati in un’atmosfera onirica dove lo scorrere del tempo non riesce a scalfire la sensazione di terrore e meraviglia che ci assale. Questo è il regno dell’esoterismo in una veste a dir poco fiabesca. È un unicum nel suo genere, drasticamente diverso dal classico giardino all’italiana caratterizzato da ordine e geometria. Al contrario, qui è tutto meravigliosamente irregolare e caotico, non c’è compostezza né relazione prospettica.
L’armonia cede il passo alla confusione come in un labirinto turbinoso e avviluppante. Il dedalo di simboli in cui ci muoviamo con circospezione e stupore è in realtà un percorso alchemico. Dove l’ignaro visitatore vede slanci eccentrici e immagini curiose, gli adepti leggono complessi messaggi e occulti insegnamenti. L’immaginario cinquecentesco prende vita sulla dura pietra, mostrando il suo lato manierista, il gusto per il grottesco e il paradosso. L’ispirazione potrebbe essere venuta dall’Hypnerotomachia Polyphili – o Sogno di Polifilo – l’opera di Francesco Colonna che narra il rischioso viaggio nell’Oltretomba compiuto dal protagonista per salvare l’amata.
Una visita memorabile
Fin dal nostro ingresso Vicino ci mette alla prova con un messaggio enigmatico inciso su una sfinge greca:
“Tu ch’entri qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante maraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”.
I mostri nascondono qualche occulto significato o sono un semplice capriccio artistico? Il principe istilla in noi il dubbio, divertendosi a solleticare la nostra arguzia.
“Chi con cigli inarcate et labbra strette non va per questo loco manco ammira le famose del mondo moli sette”.
Ci inoltriamo nel bosco con una strana angoscia nel cuore; è come essere catapultati in uno strano libro popolato da creature chiaroscurali ora bizzarre ora inquietanti.
Ecco che incontriamo il primo mostro. Si tratta di Proteo/Glauco, un personaggio mitologico la cui bocca spalancata affiora dal terreno in un muto e straziante grido di dolore. Al pari del mostro subiremo una mutazione e quando usciremo da questo labirinto non saremo più gli stessi.
Passiamo accanto a uno strano Mausoleo eretto su un masso divelto e decorato da un’ambigua sirena, per poi imbatterci nella scultura più grande del parco: il Colosso. Un enorme e possente Ercole scaraventa a terra il rivale Caco tenendolo per i piedi. Questa lotta tra giganti riassume il concetto alchemico delle due nature che devono necessariamente scontrarsi per potersi poi unire.
Incontriamo la Tartaruga a forma di prua di nave che indica la via, e la Balena pronta a inghiottirla. Presso il Ninfeo con le Tre Grazie e la Venere nella conchiglia troviamo un nuovo messaggio del principe:
“L’antro, la fonte e il lieto cielo. Libero l’animo di ogni oscur pensiero”.
Ma ecco spuntare la famigerata Casa pendente, lo strampalato edificio che originariamente costituiva l’ingresso al parco. Edificata su un basamento inclinato, quest’architettura impossibile mette a dura priva il nostro equilibrio – non solo fisico. All’interno il baricentro del corpo è alterato, si procede tentoni oscillando a causa delle vertigini, come su una nave in burrasca o in un sogno sbilenco. Ci sentiamo disorientati e francamente presi in giro dalla frase
“Con il riposo lo spirito diventa più saggio”
posta sulla facciata esterna. Come si fa a riposare in un posto del genere!?
Eppure in questa girandola di stranezze c’è chi trova il tempo per un dolce ristoro, come il dio Nettuno, placidamente disteso, e una ninfa addormentata.
Il maestoso Elefante colto nell’atto di stritolare un legionario romano nella propria proboscide ci riporta alla mente le gesta di Annibale, mentre il drago alle nostre spalle di ammonisce di stare sempre all’erta.
Finalmente incontriamo il mostro-simbolo di Bomarzo: l’Orco, un enorme mascherone con la bocca spalancata e gli occhi vuoti. Chi trova il coraggio per affrontare il mostro e oltrepassare le sue fauci scopre una piccola camera provvista di tavolo e panca. Siamo penetrati nell’oscura caverna dei nostri istinti, faccia a faccia con il nostro lato oscuro, sfidando le tenebre per poter risorgere alla luce. La frase
“Ogni pensiero vola”
è il criptico invito ad abbandonare il pensiero razionale per lasciarsi cadere nelle braccia dell’ignoto.
Dal fogliame fanno capolino tante altre divinità e creature mitologiche, come Pegaso, Iside, Cerere, Proserpina, Furia ed Echidna, Cerbero, la Triplice Ecate, e ancora fauni, orsi, leoni e delfini.
A conclusione del giro troviamo il Tempietto costruito da Jacopo da Vignola circa vent’anni dopo le altre sculture. L’edificio in realtà è un mausoleo e ospita le tombe dei coniugi Bettini – la moglie trovò la morte proprio a causa di un incidente durante i lavori di restauro. La leggenda vuole che tra queste mura riposi anche Giulia Farnese, defunta e amata sposa di Vicino. E di fatti tutto il giardino è un omaggio alla bella Giulia, una sorta di eccentrico dono d’amore e devozione. E se davvero il principe avesse realizzato tutto questo
“Sol per sfogare il core”?
Ci voltiamo lasciandoci alle spalle la cupola del Tempietto e il giardino incantato. Rivolgiamo un ultimo sguardo agli esseri incastonati nel verde lussureggiante, silenziosi custodi di un regno impenetrabile. Sentiamo ancora addosso i loro sguardi cristallizzati nella pietra, materia vibrante pronta a destarsi dal sortilegio e tornare alla vita da un momento all’altro.