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Gradara, amore e morte alla corte dei Malatesta

Gradara

Dal torrione più alto della rocca di Gradara una figura leggiadra ci osserva. Le sue vesti colorate oscillano leggere nella brezza degli ultimi giorni d’estate. Ma nei suoi occhi è riflesso un dolore antico e inconsolabile che da oltre settecento anni tormenta la sua anima. Quella che state per leggere è la storia d’amore e morte più appassionante di tutte: la storia di Paolo e Francesca.

 

L’ombra dei secoli passati

Il castello di Gradara osserva imponente e immobile la Vallata del Taviolo (Pesaro e Urbino) che dai suoi piedi si estende fino al mare. L’antica rocca fu teatro di scontri fra papato e signorie, preda ambita – e assediata – dai potenti di turno.

Il primo nucleo del castello risale al 1150 quando i fratelli Del Griffo costruirono il mastio alto circa 30 metri. L’aspetto attuale si deve alla famiglia Malatesta che ottenne la fortezza e l’investitura dal Papa alla fine del XII secolo. I nuovi proprietari fecero realizzare gli oltre 700 metri di cinta muraria che circonda la rocca e l’intero borgo, dotata di 17 torri merlate. La mastodontica opera di fortificazione non garantì il successo ai Malatesta, che persero la fortezza nel 1463 dopo l’assedio di Federico da Montefeltro.

Nel corso dei secoli Gradara passò di mano in mano, diventando proprietà delle famiglie più illustri e potenti come gli Sforza, i Borgia e i Medici, fino a essere acquistato nel 1920 da Umberto Zavettoni. Oggi il castello è interamente visitabile e ospita un’interessante mostra sulle macchine da tortura medievali.

L’aspetto monumentale e signorile della rocca di Gradara nasconde oscuri segreti. Nelle sue viscere di pietra sono celati passaggi segreti e trabocchetti irti di trappole, i famosi “pozzi a rasoio” dove cadde e morì uno dei protagonisti della nostra storia…

Gradara
Il castello di Gradara (foto di Veronica Quintili)

 

Amore e adulterio

Gradara
Particolare dell’opera di Dante Gabriel Rossetti

Correva l’anno 1275. Per la giovane Francesca da Polenta (o Francesca da Rimini) doveva essere il giorno più bello della vita, quello a lungo sognato e agognato: il giorno delle nozze. Ma il matrimonio che suo padre, Guido da Polenta, aveva organizzato per lei era tutt’altro che felice. Per consolidare l’alleanza con Rimini, il signore di Ravenna aveva dato la figlia adolescente in sposa al rude Giovanni Malatesta soprannominato Gianciotto perché zoppo, sciancato. I novelli sposi si trasferirono nei possedimenti di Gradara e Gianciotto divenne podestà di Pesaro.

Le monotone giornate di Francesca furono allietate da un’insperata sorpresa. Lo sgradevole Gianciotto aveva un fratello bello, cortese e valoroso. Il suo nome era Paolo, che tutti chiamavano “il bello”. Il nobile cavaliere era a sua volta incastrato in un matrimonio di convenienza con Beatrice Orabile di Ghiaggiuolo. Gianciotto era spesso lontano da Gradara, così il vuoto delle giornate di Francesca fu riempito dalle visite del bel cognato. I due giovani iniziarono a conoscersi, tessendo i fili di una bella amicizia che diventò amore senza quasi accorgersene.

I loro incontri divennero sempre più frequenti e perciò segreti. L’amore cortese proibiva di avere rapporti carnali, così i due s’intrattenevano con letture di racconti e poesie. Fu proprio un libro “galeotto” a innescare la scintilla della più travolgente passione tra i due innamorati. Un giorno, mentre leggevano la storia di Lancillotto e Ginevra, non riuscirono più a resistere e, imitando i protagonisti del racconto, si lasciarono andare a un impetuoso, travolgente bacio.

 

Un oltraggio lavato nel sangue

L’amore appena sbocciato durò il battito d’ali di una farfalla. La fiamma della passione fu spenta brutalmente una notte del 1284. Gianciotto era partito per Roma, così Francesca si azzardò ad accogliere Paolo nelle sue stanze. Dopo la consueta lettura iniziarono le tenere effusioni. Il lume della candela tremolava dolcemente e tutto sembrava perfetto, finché la porta si aprì di colpo. Sulla soglia apparve la sagoma scura e minacciosa di Gianciotto che aveva fatto finta di partire apposta per tendere una trappola ai due adulteri. La scena che apparve davanti ai suoi occhi – la moglie e il fratello abbracciati sul letto – scatenò in lui una collera feroce.

L’uomo sguainò la spada e si avventò contro lo sciagurato fratello ma Francesca si frappose tra la lama e il suo amato, rimanendo fatalmente uccisa. Il destino di Paolo fu persino peggiore. Nel tentativo di scappare s’infilò in una botola del pavimento, ma cadde vittima di uno dei tanti tranelli mortali disseminati nelle segreta del castello. Il suo corpo fu trafitto da spuntoni acuminati e il suo scheletro rimase sepolto fino a diventare cenere.

Fu così che la favola bella dell’amore tra Paolo e Francesca finì in un tragico bagno di sangue. Un tenero fiore scarlatto calpestato dallo stivale di un bruto. Il loro è diventato l’emblema dell’amore passionale e sventurato, una storia più commuovente di qualsiasi tragedia o romanzo perché vera.

 

I fantasmi di Gradara

Gradara, amore e morte
Paolo e Francesca nel girone dei Lussuriosi nella versione di Gustave Dore

Il castello di Gradara, con la sua lunga e travagliata storia, è dimora di spettri, oscuri misteri e sinistre leggende. Tante sarebbero le anime intrappolate tra le mura della rocca. Tra queste vi è anche la madre del “celebre” fantasma della piccola Azzurrina: Costanza Malatesta, ripudiata e assassinata a Gradara nel 1378.

Dalla notte del duplice delitto le anime dei due amanti vagano inconsolabili nel castello di Gradara. Si dice che lo spirito di Francesca si aggiri tra le stanze sontuose della rocca, alla constante e infruttuosa ricerca dell’amato. Il fantasma di Paolo, invece, vaga nei sotterranei del castello sottoforma di un’opaca nebbiolina. Egli si spande disperato attraverso cunicoli e passaggi segreti, tentando di risalire i tranelli e raggiungere la sua Francesca. A volte un pianto sommesso si leva dal castello, mescolandosi all’ululato impietoso del vento. Il triste destino perseguita i due amanti beffardo e crudele anche dopo la morte. Non importa quanto tempo sia passato, la fanciulla continua e continuerà a cercare il suo unico ed eterno amore intrappolato nel grembo oscuro del castello.

C’è un “luogo” altrettanto immortale, dove le anime di Paolo e Francesca sono finalmente unite, avviluppate in un abbraccio indissolubile e disperato: i versi del V Canto dell’Inferno di Dante:

Nessun maggior dolore 

che ricordarsi del tempo felice 

ne la miseria; […]

Noi leggiavamo un giorno per diletto 

di Lancialotto come amor lo strinse; 

soli eravamo e sanza alcun sospetto.  

[…] la bocca mi basciò tutto tremante. 

Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: 

quel giorno più non vi leggemmo avante”.

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