Sostieni i nostri autori
DonaGilles de Rais, la vera storia di Barbablù
“C’era una volta un uomo (Gilles de Rais), che avea belle case e belle ville, vasellame d’oro e d’argento, mobili ricamati, carrozze tutte dorate…”
C. Perrault, Barbablù, da “I racconti di mamma oca”, 1697
Se la storia di Gilles de Rais fosse una fiaba, avrebbe lo stesso incipit di Barbablù. L’orrido signorotto che occupava il suo tempo a prender mogli e a farle fuori una dopo l’altra, prese la sua forma definitiva grazie alla penna di Charles Perrault.
Ma la vicenda di Gilles de Rais non ha in comune con Barbablù solo l’incipit e, per quanto macabra e inquietante, la storia di quest’ultimo pare essere una versione edulcorata dei fatti che vedono protagonista il nobile condottiero del XV secolo. Quella che state per leggere è la sua storia; la storia dell’uomo che ispirò la fiaba di Barbablù.
L’ascesa…
Gilles de Montmorency-Laval nacque a Champtocé-sur-Loire intorno al 1405. Primogenito di una nobile famiglia, nella vita ebbe tutto: ricchezza, potere, glorie e onorificenze.
A undici anni rimase orfano di entrambi i genitori, ereditandone i possedimenti, e crebbe libero, quasi selvatico, sotto il patrocinio del nonno materno, Jean de Craon. Dopo una fanciullezza e un’adolescenza trascorse a praticare angherie e scorribande, Gilles arrivò alla corte del re Carlo VII. Erano anni difficili per la Francia, segnata da un logorante conflitto dinastico contro l’Inghilterra: la famosa guerra dei cent’anni. Parigi era caduta sotto il nemico e Carlo VII , legittimo re di Francia, si era trasferito con la sua corte a Bourges.
È qui che il destino di Gilles de Rais si incrocerà con quello di Giovanna D’Arco, la pulzella d’Orléans, colei che libererà la Francia dal giogo inglese. I due furono compagni d’arme e pare, anche, ottimi amici.
Dopo numerose vittorie, nel 1429 Gilles fu elevato al rango di maresciallo di Francia. A soli ventiquattro anni aveva raggiunto il più alto riconoscimento militare francese, era ricchissimo e le sue terre e i suoi castelli erano fra i più prosperi e i più belli di tutto il regno. Il cielo era fulgido sulla sua testa e l’avvenire si prospettava radioso.
…e il declino
Nel 1431 Giovanna venne venduta agli inglesi e condannata al rogo per eresia. L’anno successivo morì anche il nonno e Gilles ne ereditò l’ immensa fortuna, oltre a quella che già aveva acquisito quando era ancora bambino e ai possedimenti portati in dote dalla moglie, Catherine de Thouars.
Forse che qualcosa si ruppe nell’intimo di Gilles, forse che il mostro che aveva dentro si sentì legittimato a venir fuori, fatto sta che l’intrepido condottiero della guerra dei cent’anni di ritirò nei suoi manieri e cominciò a manifestare atteggiamenti maniacali. Nel giro di poco tempo dilapidò il su
o patrimonio nel lusso e nel finanziamento di imprese visionarie. La moglie lo abbandonò e i suoi parenti lo fecero interdire per evitare che l’ennesimo castello fosse venduto per ripagare i debiti contratti.
Intanto nelle sue terre cominciarono a segnalarsi strane sparizioni. Bambini e ragazzi poco più che fanciulli svanivano nel nulla a Tiffauges, a Machecoul, a Champtocé, a Pouzauges…ovunque il barone possedesse ancora un castello, ovunque lo zoccolo del suo cavallo marcasse il terreno.
Alcuni erano giovani assunti presso una delle sue residenze, che non facevano più ritorno a casa, altri erano piccoli girovaghi senza famiglia adescati dal Gilles stesso o da uno dei suoi fedeli servitori.
L’abisso
Che ne era di loro? Il popolo mormorava ma non si esponeva. Gilles de Rais era ancora un uomo potente, coperto dall’ala protettrice del duca di Bretagna.
Nel frattempo, deciso a riacquistare gli averi perduti, non esitò a dedicarsi alle scienze occulte, in particolare all’alchimia, nella vana speranza di poter trasmutare i metalli vili in oro. A tale scopo, ingaggiò un giovane monaco toscano, tale Francesco Prelati, che nel 1439 si trasferì dalla sua Arezzo a Tiffauges, dove Gilles amava trascorrere gran parte del tempo. Il Prelati affermava di essere in grado di evocare un suo demone personale, Barron, il quale poteva soddisfare qualsiasi desiderio. A una condizione, però: per i suoi servigi Barron chiedeva in cambio sacrifici umani.
I sotterranei del castello di Tiffauges divennero la fucina delle orribili pratiche di Gilles, così come il gabinetto segreto e inviolabile di Barbalù era il nascondiglio dove conservava i corpi delle mogli, appesi, come carne da macello, su ganci metallici.
Timidamente, in sordina, cominciarono le prime denunce contro il barone de Rais. Ma erano le voci di umili popolani contro un uomo potente e stimato. C’era bisogno del giusto pretesto per aprire un processo. Il caso di Gilles de Rais era una miccia che non aspettava altro che una buona scintilla per essere accesa.
Il processo a Gilles de Rais
L’occasione non tardò ad arrivare. Nel giorno di pentecoste del 1440 Gilles attaccò con una truppa armata la chiesa di Saint-Étienne de Mer Morte durante la celebrazione liturgica. L’obiettivo del suo assalto era un chierico che aveva la colpa di essere il fratello del compratore dell’omonimo possedimento, ex proprietà del barone de Rais. Gilles lo fece prigioniero, cercando così con il ricatto di riavere il suo castello.
Rivolta a mano armata; sacrilegio; violazione dell’immunità clericale: c’erano tutte le condizioni per aprire un’inchiesta. Nel settembre dello stesso anno venne arrestato. Nel frattempo le accuse contro di lui erano salite a circa settanta testimonianze. Tra queste, la più spaventosa rivelava dell’esistenza di un baule nel castello di Champtocé contenente i resti smembrati di decine di bambini.
Gli venne imputata ogni ignominia immaginabile all’epoca: apostasia eretica, invocazione del demonio, crimini contro natura e, in ultimo, l’omicidio. Chiamato a difendersi davanti ai due tribunali, quello ecclesiastico e quello secolare, Gilles confessa tutto. Anche i reati di cui non era stato accusato. Con una precisione e una dovizia di particolari che il vescovo di Nantes, all’udire le sue parole, corse verso il crocifisso per coprirlo con un telo, affinché il Signore non dovesse essere testimone di un tale abominio.
Il primo delitto fu compiuto già nel 1432. Gli otto anni successivi furono una discesa inarrestabile verso la perdizione. Gilles abusava e torturava le sue giovani vittime prima di porre brutalmente fine alle loro vite. Come egli stesso dichiarò, la sua era un’urgenza ineluttabile, “non c’era nessun altra causa, nessun altro fine né intenzione” se non quello di uccidere.
La condanna
Gilles de Rais uccise e fece uccidere circa 140 tra bambini e ragazzi. Venne condannato all’impiccagione e al rogo insieme a due dei suoi servitori ma tuttavia ottenne dal giudice il consenso che il suo corpo non venisse consumato dal fuoco, allo scopo di ottenere cristiana sepoltura.
L’esecuzione si tenne il 26 ottobre 1440 davanti a un corteo di persone oranti. Fu l’ultima richiesta di Gilles: che si pregasse per la sua anima. Fu così che l’ uomo che aveva vissuto da orco morì come un santo.
Venne poi sepolto nella chiesa del monastero di Notre Dame des Carmes a Nantes. Qui riposò per trecentocinquant’anni fino a che la sua e le altre tombe della chiesa furono violate e saccheggiate negli anni della rivoluzione e le sue spoglie gettate nella Loira.
Il ricordo dei suoi crimini passò di generazione in generazione, divenne retaggio della tradizione popolare, mutò di personaggi e di connotati fino a che un nobile scrittore alla corte del Re Sole non decise di suggellare questo e altri racconti diventati fiaba sulla carta.
Il castello di Tiffauges è divenuto celebre per essere il castello di Barbablù. Ironia della sorte (e della dinamica commerciale) è oggi meta di tante famiglie con bambini, che riempiono le sue mura di schiamazzi e risa dove prima vi erano solo grida di terrore.