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Cripta dei Cappuccini, quando la morte incontra l’arte

A Roma, nel cuore di quella che fu la dolce vita, vi è un luogo in cui il tempo e le piacevolezze dell’esistenza sembrano arrestarsi; un luogo in cui è possibile prendere una pausa dagli affanni della quotidianità e…ammirare la morte.
Questo luogo è la cripta dei cappuccini, al cui interno sono conservate le ossa di migliaia di persone. Non si tratta di un ossario come tutti gli altri però: la cripta dei cappuccini è un ossario artistico. Esso è il frutto del dedito lavorio dei frati, la cui fantasia ha creato nei secoli un complesso gioco di composizioni che esorcizzano dalla paura della morte e al contempo spingono i visitatori a meditare involontariamente su di essa.
La cripta e il suo ossario si trovano nei sotterranei della chiesa di Santa Maria della Concezione, all’imbocco di Piazza Barberini con Via Vittorio Veneto.

La morte entro pareti rosa

Facciata della chiesa di Santa Maria della Concezione

La chiesa di Santa Maria della Concezione passerebbe inosservata se non fosse per la sua posizione prominente sul passante e la doppia rampa di scale che invita ad entrare.
Una chiesetta di campagna, verrebbe da pensare osservandola meglio, un rigurgito di amenità nel caos di uno dei crocevia più trafficati del centro di Roma.  Questa sensazione non è errata: quando venne edificata, nella prima metà del ‘600, gran parte della Roma che conosciamo oggi era ancora un giardino.Costruita per volere di Papa BonifacioVIII Barberini come dono al fratello Antonio, la chiesa inizialmente constava di un campanile e di un convento che uno alla volta dovettero piegarsi e soccombere all’urbanizzazione della città, dopo la sua nomina a capitale del Regno d’Italia nel 1870.
In pochi forse sanno che dietro la discreta e rassicurante facciata dalle pareti rosa salmone, questa chiesa custodisca al suo interno la più sbalorditiva esposizione della morte nella capitale. I Cappuccini non sono nuovi a una tale funerea celebrazione. In un articolo precedente abbiamo già raccontato di un ossario simile nelle Catacombe di Palermo.

La prima avvisaglia di quello che sarà lo spirito del nostro percorso la troviamo ancora prima di scendere i grandini che ci porteranno nella cripta. Sul pavimento, di fronte all’altare maggiore, la tomba del cardinale Antonio Barberini, che faceva parte di quest’ordine, recita infatti il seguente epitaffio:

Hic iacet pulvis cinis et nihil

“Qui giace polvere, cenere e niente”. Una laconica quanto incisiva esortazione che ci dispone a spogliarci dei nostri futili orgogli e delle nostre intime compiacenze per entrare senza alcuna difesa mondana nella dimora dei morti.

Tappa “obbligata” per potere accedere alla cripta è il relativo museo dei cappuccini. Se la rapida rassegna delle sale di questo piccolo museo avesse avuto l’effetto di distrarci dalle sensazioni provocate dall’epitaffio della tomba del Barberini, basterà scendere pochi gradini per immergerci completamente in una dimensione sepolcrale…

 

Originali installazioni rococò

Penombra e silenzio, e il debole riverbero eburneo della marea di ossa aggrappate sulle pareti e fin sopra le volte della cripta, demarcano il netto distacco dal mondo dei vivi a quello dei morti.
Nella cripta dei cappuccini sono infatti conservati i resti di circa quattromila individui, per lo più appartenuti a questo ordine, i cui scheletri, riesumati dalle loro tombe, furono poi scomposti e artisticamente riassemblati per creare decorazioni dal gusto rococò e oggetti simbolicamente legati alla morte, quali clessidre e farfalle.


C’è chi definisce macabra questa bizzarra installazione, ma per noi amanti del mistero non può sfuggire l’aura di romanticismo che pervade questo luogo. Guardare nel buio delle orbite e rispondere al perenne sorriso dei teschi è come avere uno specchio che ci restituisce un’immagine di noi senza la maschera effimera della pelle.
Alcuni personaggi sono conservati nella loro integrità, parzialmente mummificati e ancora ammantati del ruvido saio dei frati. Certi li troviamo coricati entro nicchie, come se stessero riposando prima di riprendere le occupazioni quotidiane; altri sono stanti e col busto proteso in avanti. Questi ultimi, con lo sguardo rivolto verso il basso e le mani giunte in atteggiamento di preghiera sembrano incedere verso il visitatore, lenti ma inesorabili. Come il tempo; come la morte.

Le stanze della cripta

La cripta è un lungo corridoio, sul cui lato destro si aprono una successione di stanze, ognuna col suo tema particolare e il suo osso predominante. Così troviamo la “cripta della resurrezione”, quella dei “teschi”, dei “bacini”, la “cripta delle tibie e dei femori” e, infine, quella dei “tre scheletri”, dedicata ai membri della famiglia Barberini. Tra questi spicca la presenza di un piccolo scheletro al centro della volta.

É la “principessa Barberini” che tiene nelle mani una falce e una bilancia, rigorosamente composte di ossa, simboli rispettivamente della funzione livellatrice della morte e del giudizio finale che soppeserà ogni azione compiuta in vita.
Durante la nostra visita un’altra lapide ci ammonisce in maniera velatamente enigmatica sulla caducità della vita e sulla disgregazione di questo contenitore che è il corpo:

“Quello che voi siete noi eravamo; quello che noi siamo voi sarete”

Ma forse l’ammonimento più efficace proviene proprio dal tacito interloquire degli elementi che compongono l’ossario, che inducono ognuno di noi a riflettere sul più grande mistero dopo quello della vita: il mistero della morte.

 

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