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Catacombe di Parigi, benvenuti nel Regno dei morti

teschi ossario parigi

Dopo Napoli e Londra, Parigi è la terza tappa del nostro tour dei cimiteri più misteriosi d’Europa.

Le Catacombe di Parigi occupano quasi 2 degli oltre 250 chilometri di tunnel scavati nel sottosuolo cittadino. L’intricata rete di gallerie corrisponde alla cava di calcare e argilla che si snoda nelle viscere di Parigi, ricalcando fedelmente le vie e i boulevard in superficie. È una sorta di città capovolta, una Parigi vista al negativo che, nell’ultimo secolo, è stata adibita agli usi più svariati. Da rifugio per senzatetto a base per la Resistenza e bunker antiaereo, l’oscurità di questo immenso labirinto ha attratto frequentatori d’ogni sorta, diventando teatro anche di messe nere, riunioni di società segrete e festini.

L’ossario municipale conserva i resti di almeno 6 milioni di persone ed è considerato uno dei più grandi del mondo. 131 gradini e 20 metri di profondità separano la sfavillante Ville Lumière dalla città delle ombre, il regno dei vivi da quello dei morti.

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La formazione di una necropoli

Le origini delle Catacombe di Parigi risalgono al XII secolo, quando iniziò il seppellimento dei morti in fosse comuni per risparmiare spazio e denaro. Uno dei più grandi era il Cimitero degli Innocenti (attuale Place Joachim-du-Bellay), soprannominato “Carnaio degli Innocenti” per le pessime condizioni in cui versava. Col passare del tempo, i fluidi corporei dei cadaveri iniziarono a permeare il terreno, finendo nelle falde acquifere e causando gravi problemi igienico-sanitari. La situazione divenne insostenibile al punto che, nel XVIII secolo, fu vietata la sepoltura dentro la città in favore di nuovi cimiteri suburbani.

Nel 1774, una serie di crolli spinse Luigi XVI a istituire l’Ispettorato Generale delle Cave preposto alla manutenzione, ristrutturazione e mappatura dei tunnel parigini. Fu proprio un ispettore, Alexandre Lenoir, ad avere l’idea di trasferire i resti dei cimiteri nelle ampie “stanze” sotterranee. Nel 1785 iniziò il trasferimento degli oltre 2 milioni di morti degli Innocenti nelle gallerie presso la Barrière d’Enfer a sud della città. A sovrintende i lavori furono i due ispettori Thiroux de Crosue e Charles-Alex Guillaumot, che traslarono i resti nottetempo per evitare l’ostilità della cittadinanza.

Il 7 aprile 1786 l’ossario fu inaugurato e consacrato, assumendo il nome evocativo quanto improprio di “Catacombe di Parigi” (con cui, in maniera altrettanto erronea, s’intende spesso l’intera rete di tunnel sotterranei). L’attuale disposizione si deve all’ispettore Louise-Etienne Hérrart de Thury che, tra il 1810 e il 1814 sistemò l’enorme catasta di ossa dandole un criterio espositivo secondo un approccio museografico. L’ossario fu così reso visitabile e aperto al pubblico, come un qualsiasi altro mausoleo.

Fino al 1860 le Catacombe di Parigi raccolsero tutti i morti dei cimiteri parrocchiali, oltre alle vittime della Rivoluzione Francese. Tra gli abitanti della necropoli spiccano anche nomi illustri come Jean La Fontaine, Antoine-Laurent Lavoiser, Georges Jaques Danton e Maximilien de Robespierre.

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 “Arrêté! C’est ici l’Empire de la Mort”

Il regno degli Inferi dischiude i suoi cancelli con questo avvertimento. Le gallerie, un tempo ampie, sono letteralmente riempite da migliaia di ossa accatastate fino a sfiorare il soffitto. I passaggi diventano così stretti, tortuosi, le ossa sembrano stringersi attorno al visitatore, quasi sovrastarlo e accerchiarlo per ricordargli che, presto o tardi, farà la stessa fine. Forse non verrà mai esposto in una sorta di museo della morte, ma entrerà comunque a far parte di quel regno oscuro e inesorabile.

I muri degli stretti corridoi sono formati dalle ossa disposte ordinatamente, principalmente in file di tibie e femori alternati a teschi. Quelle che da lontano, a una prima occhiata distratta, possono sembrare pietre e conci tondeggianti, sono in realtà resti umani antichi di secoli. Il decorativismo di de Thury si ritrova nello stile monumentale di gusto antico ed egizio, nelle linee sobrie delle colonne doriche, negli altari, croci e steli commemorative disseminate lungo il circuito. Il silenzio assoluto è interrotto solo dal ticchettio delle gocce d’acqua che scendono, come in una grotta, dalle stalattiti del soffitto.

La luce fioca – anche se elettrica – contribuisce a creare una scenografia macabra di grande impatto emotivo. In questo regno di suggestione e raccoglimento, non è tanto l’orrore a prevalere quanto la pace e il rispetto che il luogo suscita e impone. A favorire la riflessione sul concetto della morte vi sono aforismi, poemi, testi sacri e profani sparsi qua e là: tutto per enfatizzare il memento mori (“ricordati che devi morire”).

Qui tutti i morti si assomigliano, non c’è differenza di classe né di sesso. Tutto appare mescolato e ordinato sotto il velo tenebroso della morte che, a differenza della vita, ha il merito di rendere tutti uguali.

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