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DonaCa’ Dario, il palazzo maledetto sul Canal Grande
Rimaniamo a Venezia. Il fascino della città lagunare ci ha preso e avvinto. Un fascino decadente, oscuro talvolta, come le acque dei canali che l’attraversano formando un complesso sistema linfatico di cui Canal Grande ne costituisce il dotto principale.
Esso taglia sinuosamente in due la città. Percorrerlo significa passare in rivista le maggiori glorie della Serenissima. I palazzi nobiliari che si specchiano nelle sue acque, affastellati e stipati gli uni contro gli altri, da principio non erano che lo sfoggio e il vanto dei personaggi illustri della città.
Tra questi edifici il più mirabile, il più opulento e, sicuramente, il più nefasto è Palazzo Dario: Ca’ Dario per i veneziani.
La scia di sangue e sciagura che Ca’ Dario si trascina dietro è fresca ancora oggi. Seguiamola e cerchiamo di ricomporre la storia di questo palazzo maledetto.
“URBIS GENIO JOANNES DARIUS”
Giovanni Dario, mercante di origini dalmate divenuto segretario della Repubblica di Venezia, commissionò il palazzo dopo l’impresa diplomatica col sultano Mehmet II, la quale pose fine alla guerra non solo commerciale contro i turchi e gli valse l’appellativo di “salvatore della patria”. Era il 1479.
Egli, comprensibilmente orgoglioso di questo splendido esempio di rinascimento veneziano, volle che sui blocchi di pietra d’Istria della facciata fosse incisa ad altezza d’uomo e in lettere abbastanza grandi affinché potesse esser letta anche dall’altra sponda del canale, l’epigrafe che troviamo nel titolo del paragrafo. Essa può essere così tradotta: “Giovanni Dario, in onore del genio della città”. Il palazzo voleva così essere un dono all’intera cittadinanza.
Certamente lo era per sua figlia Marietta, che lo portò in dote quando convolò a nozze con Vincenzo Barbaro. Un matrimonio di convenienza, come tanti a quel tempo, che accrebbe ulteriormente il prestigio della famiglia.
La vita continuò serena fino al 1494, anno della morte dell’ormai ottuagenario Dario. Da quel momento la sfortuna sembrò accanirsi sugli abitanti della casa.
Dapprima fu l’inaspettato tracollo finanziario di Vincenzo che morì ammazzato per mano d’ignoti, poi la morte misteriosa di Marietta a soli 39 anni; c’è chi dice sia stato crepacuore, chi invece parla di suicidio. Infine l’assassinio di uno dei loro figli -Giacomo- a Creta.
“SUB RUINA INSIDIOSA GENERO”
In poco tempo si sparse la voce che Ca’ Dario fosse maledetta. Qualcuno si divertì ad anagrammare la scritta sulla facciata e il risultato fu sinistro. Da “Urbis genio Joannes Darius” a “Sub ruina insidiosa genero”: “Genero un’insidiosa rovina”. La diceria sull’infausto influsso del palazzo su suoi abitanti era ormai suggellata da questo motto.
Per quasi quattrocento anni la maledizione, come un morbo, fu silente. Quando i suoi antichi proprietari, i Barbaro, decisero di sbarazzarsi della proprietà era già trascorso il primo quarto dell’ ‘800. I secoli e l’acqua erano scivolati inclementi su Ca’ Dario: il palazzo aveva perduto parte del suo splendore iniziale ma ne aveva guadagnato in malia. Un lato dell’edificio si era inclinato prostrato dal tempo, contribuendo a rendere ancora più sinistro l’aspetto della casa.
Il nuovo proprietario era un commerciante armeno di pietre
preziose, tale Arbit Abdoll. Anche lui, come Vincenzo Barbaro, andò miseramente in rovina e morì poco dopo il tracollo. Fu il primo di una lunga sequela di proprietari che finirono in bancarotta o morirono in circostanze misteriose.
Tra i colpiti dall’influsso malefico della casa si dice che vi sia anche il poeta francese Henri de Régnier, che vi dimorò per qualche tempo come ospite ( nel retro della casa è apposta una lapide in ricordo del suo passaggio). Egli se la cavò con una malattia che scomparve dopo che ebbe lasciato la città.
I veneziani non avevano dimenticato l’antica maledizione e gli ultimi avvenimenti riportarono in auge la storia della “casa che uccide”.
Tuttavia, è solo a partire dalla seconda metà del ‘900 che la morsa della casa si è fatta davvero serrata e feroce sui suoi inquilini.
La storia diventa cronaca
19 luglio 1970. Il conte Filippo Giordano delle Lanze viene trovato senza vita, riverso su una pozza di sangue, nella sua abitazione: Ca’ Dario. Il movente rimane tuttora sconosciuto e il presunto assassino, Raoul Blasich, amico della vittima, si dà alla latitanza. La stessa governante dichiarerà che la sera prima del delitto li aveva sentiti discutere animatamente.
Egli è il primo a morire effettivamente fra le mura della casa, dopo Marietta. Tutti gli altri l’avevano già lasciata quando le spire della maledizione si erano ormai avvillupate su di loro.
Come succederà a Kit Lambert, manager degli Who, che l’acquista senza alcun apparente timore della maledizione. In realtà, voci che gli erano vicine affermano che egli preferisse dormire nel chiosco dei gondolieri del vicino Hotel Gritti per via dei fantasmi che lo perseguitavano all’interno del palazzo.
Frase che sebbene inquietante deve essere presa con le pinze se pensiamo che Kit faceva abuso di stupefacenti. Pochi anni dopo, nel 1981, muore cadendo dalle scale nella sua casa a Londra. In molti hanno voluto leggere in questa morte improvvisa lo zampino di Ca’ Dario.
L’ultimo proprietario del palazzo sarà Raoul Gardini. Travolto dall’ichiesta di Tangentopoli, l’imprenditore porrà fine alla sua vita nella sua casa di Milano. Aveva acquistato Ca’ Dario sul finire degli anni ’80, poco prima che scoppiasse lo scandalo che lo portò alla rovina.
La “CAUDA DRACONIS”
Ma perchè Ca’ Dario è così sciagurata?
Gli amanti dell’esoterismo sanno bene che Venezia è un portentoso catalizzatore di energie positive o negative, a seconda dei luoghi.
Questo si deve per la particolarità che la fa unica, cioè quella di essere una città che pone le sue radici più nell’acqua che nella terra. L’acqua, infatti, è il grande conduttore energetico della natura.
Secondo il Feng Shui, nel costruire un’abitazione bisogna tener conto delle onde del “grande drago” del sottosuolo, portatore di energie benefiche o malefiche. La testa del drago sarebbe foriera di energia positive, mentre sulla coda sarebbero concentrate quelle negative. Se immaginiamo Venezia come una grande abitazione non possiamo fare a meno di notare che la linea del Canal Grande somiglia al corpo di un serpente o di un dragone e che Ca’ Dario si troverebbe proprio in prossimità della coda, la “cauda draconis”. E forse non sarà una coincidenza che la chiesa di San Giorgio (uccisore di draghi per eccellenza), sia posizionata, come un amuleto, proprio sulla punta di questa coda.
Per anni Ca’ Dario è rimasta senza padrone. Oggi pare sia proprietà di americani ma è tuttora in attesa di inquilini che vi dimorino.
Guardandola, così avvenente e così solitaria, ci tornano alla mente le parole di D’Annunzio che descrivendola ne “Il fuoco” sembra quasi ne abbia colto la sua essenza e i suoi segreti:
“Lo strepito di un’acclamazione sorse dal traghetto di San Gregorio, echeggiò pel Canal Grande ripercotendosi nei dischi preziosi di porfido e di serpentino che ingemmano la casa dei Dario inclinata come una cortigiana decrepita sotto la pompa dei suoi monili.”