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DonaMonti sibillini, il reame fatato della Regina Sibilla
Nel ventre dei Monti Sibillini si cela una grotta misteriosa e inaccessibile. È il regno incantato della Regina Sibilla, signora delle fate e custode di un paradiso su cui aleggia l’ombra del peccato. Fata saggia e benevola o astuta strega incantatrice? Scopriamo l’essenza della Sibilla Appenninica scendendo nel cuore della montagna.
La grotta della Regina Sibilla
Sulle vette fiorite dei Monti Sibillini si nascondono oscuri segreti e regni sepolti, popolati di creature misteriose e affascinanti. Tra le rocce calcaree del Monte Sibilla è celato l’ingresso alla Grotta fatata, da dove la regina scruta passato e futuro degli uomini.
Le origini dell’avvenente sovrana sono confuse e contraddittorie. Alcuni pensano che si tratti dell’antica Sibilla Cumana, scacciata dal suo antro ed esiliata sull’Appennino umbro-marchigiano. Qui la casta profetessa di Apollo si sarebbe trasformata in un’abile seduttrice, tanto da donare al luogo l’appellativo di Monte di Venere. C’è anche chi sostiene che l’incantevole regina sia in realtà un demone affamato di anime e che attiri gli uomini ammaliandoli con piaceri e delizie d’ogni sorta.
La Grotta della Sibilla si trova a 2175 metri. Fin dal Medioevo fu meta di avventurieri in cerca dell’antro fatato, attirati dal mistero o dalla voglia di sfida. Oggi la grotta è inaccessibile e sulla rete di cunicoli sepolti da 15 metri di dura roccia sembra calato un sortilegio irreversibile.
A fare da contraltare alla luce seducente della grotta v’è l’oscurità del Lago di Pilato, posto sul “gemello” Monte Vettore. Qui aleggia un’atmosfera cupa e sinistra, amplificata dalla serica aridità del terreno. Il lago porta il nome del prefetto romano che – letteralmente – si lavò le mani riguardo la sorte di Gesù Cristo. Si dice che il suo cadavere sprofondò in queste acque dopo essere stato trascinato in lungo e in largo da una coppia di bufali. Per secoli le sponde del lago furono teatro di rituali negromantici volti a invocare il favore di diavoli e spettri.
La leggenda del Cavaliere Tedesco
Solo i più intrepidi e valorosi possono accedere al regno della Sibilla; tra questi c’è il Cavaliere Tedesco, la cui leggenda è narrata dalla penna di Antoine de La Sale.
Accompagnato dal suo fedele scudiero, il Cavaliere oltrepassò l’angusta entrata della caverna in un giorno di primavera. Dovette avanzare carponi in un tunnel strettissimo, un budello soffocante che scendeva a precipizio nelle viscere della terra. Tutt’intorno regnava il silenzio più assoluto e sconfortante, interrotto solo dal debole crepitio delle fiaccole accese.
Dopo tre miglia il tunnel diventò un corridoio, ma il Cavaliere non ebbe tempo di rilassarsi ché fu travolto da un vento improvviso e violento, placatosi magicamente non appena l’uomo lo attraversò con coraggio. I due giunsero così davanti a un ponte stretto come un capello, posto su un fiume impetuoso e minaccioso. Lì avvenne un nuovo prodigio: come il Cavaliere vi poggiò sopra il piede, il ponte si allargò e il fragore cessò, rendendo agevole il passaggio.
Arrivarono finalmente d’innanzi all’ingresso dell’antro, sorvegliato da due enormi dragoni scolpiti nella roccia e ostruito da due massicci battenti che sbattevano violentemente uno contro l’altro. L’uomo riuscì a superare anche quest’ultima prova, attraversando indenne il passaggio e ritrovandosi nell’agognato paradiso dei Monti Sibillini. Il portone intagliato nella pietra si schiuse e la splendida Regina apparve come un sogno luminoso ai due uomini.
Un paradiso maledetto
Con voce suadente la Sibilla invitò i due a varcare la soglia del suo regno di cristallo. Una moltitudine di splendide fanciulle e aitanti giovani accolse gli ospiti; tutt’intorno era un tripudio di sete e cuscini, di oro e gioielli, di vino e cibi deliziosi. La chioma bionda della Regina accarezzava il pavimento ad ogni passo, come un tappeto dorato steso ai piedi del Cavaliere. Il reame sembrava avvolto nel più bello dei sogni, immerso nell’opulenza e nel desiderio; era il tempio della bellezza e della giovinezza, da cui vecchiaia e dolore erano banditi per sempre. La Sibilla spiegò al bel Cavaliere che non era affatto prigioniero, ma poteva andarsene quando voleva, a patto di non superare il trecento trentesimo giorno. Dopo sarebbe diventato proprietà della Sibilla, una creatura del reame sotterraneo dei Monti Sibillini.
L’uomo restò nella grotta quasi un anno, cullato da piaceri sublimi e viziato dalla seducente regina. Ma, poiché non è oro tutto quel che luccica, anche questa favola nasconde un oscuro risvolto. Il Cavaliere vide l’ombra tetra che incombeva su quel paradiso splendente… Scoprì con orrore che ogni venerdì, alla mezzanotte, gli abitanti del regno insieme alla loro regina si trasformavano in viscidi serpenti, tornando umani solo alla mezzanotte del sabato. Una volta a settimana la maledizione prendeva forma e la danza dei corpi diventava un orgiastico groviglio di serpi.
Il Cavaliere ebbe la forza di fuggire dal sortilegio per recarsi a Roma e invocare il perdono del Papa. Il pontefice negò però l’assoluzione, gettando il Cavaliere nella più cupa disperazione. Rassegnato all’idea di aver perduto l’anima, l’uomo tornò sui propri passi, arrendendosi al fascino arcano della grotta e consegnandosi nelle mani della Sibilla. A differenza del Papa, la Regina lo accolse a braccia aperte, lieta di aver irretito un altro valoroso condottiero.
La strada delle fate
I Monti Sibillini risplendono ancora del fascino maliardo della loro Regina. Aguzzando la vista si possono scorgere i segni lasciati dalle fate sul volto della montagna. Nei secoli passati queste creature festeggiavano la luna piena danzando con uomini e donne, portando allegria e felicità. Il manto della notte proteggeva uno scomodo segreto… Sotto le vesti leggiadre, alla base dei corpi aggraziati e sinuosi, le fate nascondevano piedi caprini con tanto di zoccoli! Una notte, prese dalla frenesia della festa, si azzardarono a danzare fino all’alba, mostrando a tutti gli abitanti di Castelluccio il loro imbarazzante segreto. Colte dal panico fuggirono all’impazzata, correndo via come furie scatenate tanto da creare una frana sul Monte Vettore, che poi diventò la strada che ancora oggi porta il loro nome.
Le ancelle della Regina Sibilla sembrano svanite dai quei luoghi, rintanate nel loro reame custodito gelosamente nelle profondità della montagna, al riparo dagli occhi scettici degli uomini moderni. Eppure la Sibilla potrebbe schiudere il suo regno a chi ancora ha il coraggio di credere alle favole…